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L’intelligenza artificiale è una minaccia per i lavoratori?

L’intelligenza artificiale inizia ad avere un impatto sempre più deciso sul mondo del lavoro.

Le aziende in ogni angolo del mondo iniziano a fare i loro progetti riguardo l’impiego di una elevatissima automazione in svariati ambiti, e al contempo sociologi e studiosi del mondo del lavoro s’interrogano sull’impatto che questo processo potrà avere sull’occupazione generale.

Lavoro e intelligenza artificiale: i dati

Da molti anni i soggetti interessati alle dinamiche occupazionali, e gli studiosi di economia in genere, raccolgono dati per capire l’evoluzione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro.

Molti sostengono che siamo alle porte di una rivoluzione importante, addirittura si pensa possa essere il più veloce cambiamento di paradigma della storia della tecnologia. Tutti coloro i quali prevedono questi repentini cambiamenti si affrettano però a precisare che questo non porterà alla perdita ingente di posti di lavoro, ma ne creerà altrettanti portando in pareggio la bilancia tra quelli persi e quelli creati dalle nuove tecnologie.

Il colosso dei servizi alle imprese KPMG, ha recentemente condotto uno studio negli Sati Uniti, riguardo la penetrazione dell’intelligenza artificiale nelle aziende a stelle e strisce, concludendo che siamo effettivamente in un momento cruciale per queste nuove applicazioni.

Fra tutte le aziende intervistate ben più della metà ha dichiarato che prevede un cospicuo aumento dell’incidenza dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi, sia nel campo dell’industria manifatturiera che in quello dei servizi.

Molti dirigenti di queste aziende si sono poi soffermati sull’impatto occupazionale di questa rivoluzione, sostenendo che causerà una perdita secca di posti di lavoro che va dal 10% al 50% dei loro impiegati nei prossimi due anni. Andando pertanto in controtendenza rispetto chi pronostica un naturale turnover tra posti persi e guadagnati.

Un dirigente di Citigroup, interpellato a riguardo su Bloomberg, ha dichiarato che con l’automazione intelligente, che potrà andare a fare tutta una serie di compiti ripetitivi e noiosi attualmente ad appannaggio di impiegati umani, potrebbe ridurre il personale della banca di almeno il 30%.

Un sondaggio Deloitte ha invece posto l’attenzione su quanto già in essere. Da questo studio si evince come già nel 2017 il 53% delle aziende statunitensi affermava di aver demandato all’intelligenza artificiale compiti precedentemente svolti da umani, e questa percentuale è destinata fatalmente a salire ad oltre il 70% entro la fine del 2019.

La situazione in Italia

Abbiamo visto la situazione per sommi capi degli Stati Uniti, che come sempre anticipano le tendenze destinate poi a sbarcare anche nel vecchio continente. Ma la situazione in Italia, riguardo l’impiego dell’intelligenza artificiale, a che punto si trova?

Un rapporto rilasciato da politecnico di Milano a febbraio 2019 riporta la fotografia di una situazione ancora allo stato embrionale, con aziende italiane ancora confuse e nettamente arretrate sul versante dell’automazione artificiale.

A fine 2018 solo il 12% delle aziende italiane avevano portato a regime un progetto di implementazione dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi, e la situazione non sembra avere una crescita poderosa considerando che solo il 21% delle stesse ha stanziato un budget per questi progetti.

In generale la spesa per lo sviluppo di algoritmi di automazione nel corso del 2018 è stata di appena 85 milioni di euro, nettamente inferiore non solo degli strati uniti ma di quasi tutti i paesi dell’area Euro.

Impatto occupazionale in Italia

Ma quali sono gli effetti di questa, seppur lieve, spinta verso l’intelligenza artificiale. Anche qui il rapporto del politecnico ci viene in soccorso, esplicitando un dato allarmante. Si prevede infatti che l’automazione porterà alla perdita di 5 milioni di posti di lavoro nel prossimo futuro, ma questo dipenderà anche dalle scelte che dovranno compiere le aziende interessate riguardo le proprie risorse umane. Infatti a mitigare la pericolosità di questo dato giunge il risultato delle prime esperienze di questa nuova tecnologia.

Il 27% delle aziende che hanno implementato sistemi di intelligenza artificiale hanno dichiarato di essere state costrette a ricollocare, o addirittura licenziare, del personale. A fronte di questo, lo stesso campione ha però sostenuto, nel 33% dei casi, di aver avviato un programma di nuove assunzioni, necessitando di personale estremamente formato e specializzato. Le nuove professioni legate all’informatica e alla programmazione fanno la parte del leone, con il politecnico che ha già avviato programmi di collaborazione con queste stesse aziende, in difficoltà nel reclutare figure apposite per lo sviluppo dei progetti legati all’intelligenza artificiale. Infine un altro dato interessante è quello di un 39% delle aziende che non ha modificato gli organici in relazione alla nuova tecnologia. Probabilmente questo è anche dovuto alla necessità di contenere i costi, ma potrebbe essere un incoraggiante segnale di una propensione delle aziende alla formazione interna dei propri dipendenti.

I settori più interessati

Per sua natura l’applicazione dell’intelligenza artificiale può adattarsi alla perfezione a qualsiasi contesto e settore produttivo, ma per il momento l’ambito dei servizi è quello che fa registrare le percentuali più alte di penetrazione di queste tecnologie.

Il primo in assoluto è quello delle banche, dove gli algoritmi possono fare automaticamente una serie di azioni ripetitive e noiose che dovevano essere gestite dall’uomo fino a poco tempo addietro. Il 24% del totale delle aziende che impiegano in Italia l’intelligenza artificiale proviene dal settore del banking e seguito a debita distanza dall’energy utility (13%) automotive (10%) e retail (9%)

Settori minacciati dall’intelligenza artificiale

Visti i settori dove è al momento maggiormente impiegata l’intelligenza artificiale, resta da capire quali saranno nel prossimo futuro quelli che troveranno ampi impiego di queste tecnologie avanzate.

I più esposti secondo i più recenti studi, sono quello dell’industria e dell’agricoltura. Per quello che riguarda il settore industriale è ovvio come l’automazione porterà ad una contrazione fisiologica degli occupati, soprattutto per le mansioni meno specifiche e qualificate.

Stesso discorso, in scala leggermente minore, si può applicare all’agricoltura, un settore già provato da continue contrazioni nel corso del tempo, che sta vedendo solo ultimamente una spinta sull’onda di incentivi all’imprenditoria, soprattutto giovanile.

Ma proprio l’approdo dei più giovani al comando di questo tipo di aziende è il veicolo principale per la diffusione delle nuove tecnologie relative all’intelligenza artificiale. La necessità di rivedere ed ammodernare attività i cui processi produttivi sono ancorati perlopiù al passato porterà ad un ripensamento generale delle dinamiche di occupazione su medio lungo periodo.

I lavoratori più minacciati dall’intelligenza

Ovviamente oltre ai settori interessati a queste mutazioni, anche il parco dei lavoratori impiegati subirà cambiamenti, ma non in tutte le componenti. Come detto la speranza è quella che la nuova era dell’intelligenza artificiale possa favorire la creazione di nuove figure professionali e quindi posti di lavoro aggiuntivi.

Ma per alcune categorie il futuro è tutt’altro che roseo. Anzitutto i lavoratori meno qualificati e formati rischiano di vedersi rimpiazzati dalle macchine a breve. Il motivo è ovvio. Il versante su cui l’intelligenza artificiale si applicherà massicciamente sarà quello di operazioni semplici e ripetitive, che sono povere di valore aggiunto dato alla produzione. Al momento molte di queste operazioni sono affidate a personale scarsamente formato e con qualifiche basse. E saranno questi i primi a subire l’impatto dell’automazione.

Sarà di fondamentale importanza pensare non solo a condizioni di welfare che possano sostenere le perdite in termini di lavoratori, ma saranno necessarie politiche di formazione e riqualificazione del personale impiegato. Su questo grande importanza l’avranno sia le aziende stesse, che in alcuni casi ricollocano le risorse dopo l’opportuna formazione, sia il tessuto formativo garantito da atenei e politiche attive del lavoro.

Anche i giovani infatti, sono tra i primi interessati a questo mutamento lavorativo, e la loro scelta di formazione accademica sarà cruciale per non farsi trovare impreparati. Non sono pochi i casi in Italia di aziende che non trovano personale sufficientemente formato e pronto, soprattutto in ambito informatico, e che devono a malincuore rivolgersi all’estero per soddisfare la richiesta.

Cosa aspettarsi in futuro

L’unico modo per tentare di prevedere come sarà l’impatto della massiccia automazione sul mondo del lavoro è vedere quello che è accaduto in passato in periodo di mutamenti simili.

Benché l’Ocse abbia lanciato l’allarme generale, avvertendo che oltre 60 milioni di posti di lavoro sono in pericolo nel futuro prossimo, le serie storiche comparate dei periodi delle passate rivoluzioni in ambito lavorativo lasciano qualche barlume di speranza.

Facciamo qualche rapido esempio per esplicitare meglio il concetto. L’allarme che si vive al giorno d’oggi è stato vissuto anche in epoche relativamente vicine, quando l’approdo dell’informatica ha iniziato ad impattare sul mercato del lavoro. Si gridava inizialmente alla catastrofe, pensando che i computer, o le stesse macchine automatiche impiegate nelle fabbriche, avrebbero potuto generare disoccupazione dilagante. Invece così non è stato. Sebbene inizialmente, proprio per un gap di formazione, si palesa una perdita sostanziale del numero di occupati, a lungo andare il mercato del lavoro si adatta ai cambiamenti, fornendo le risposte giuste ai mutamenti tecnologici. Questa tendenza è visibile in molte delle rivoluzioni industriali che hanno interessato la storia dell’uomo, e gli studiosi non dubitano che anche questa volta i numeri saranno clementi sul lungo periodo.

Del resto Henry Ford produceva carrozze a fine 800 ma la comparsa dell’automobile non ha distrutto la sua azienda, anzi!

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