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Non sarà più come prima

“Molti di noi probabilmente non hanno ancora realizzato che le cose non torneranno alla normalità tra qualche settimana o in qualche mese. Alcune cose non torneranno mai.” Così sentenzia Gideon Lichfield, direttore della rivista Mit Technology Review, dopo aver analizzato le simulazioni dell’Imperial College di Londra sull’espansione dell’epidemia del Covid-19 nel Regno Unito

Sono innumerevoli le previsioni sul quando riprenderanno le attività sociali ed economiche, bruscamente interrotte dalla pandemia causata dal Coronavirus.

Questa situazione molto delicata sta mettendo ogni ambito a dura prova, non solo quelli economici e sociali ma anche l’informazione deve fare i conti con il rincorrersi di fake news e pareri discordanti provenienti perfino dalle comunità scientifiche.

Fornire una chiave di lettura univoca in questo ambito è quanto mai arduo, questo articolo riporta quali previsioni sul futuro post Coronavirus sono state avanzate e riportate dalle principali testate giornalistiche occidentali.

L’analisi del Mit Technology Review

Per quanto tempo dureranno le restrizioni sociali in Italia e nel mondo? Secondo il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, attuando misure restrittive per diverse settimane, è possibile girare l’angolo e tornare alla normalità rapidamente. In Cina, dopo sei settimane di blocco, le misure hanno iniziato ad essere allentate.

Il rapporto dell’Imperial College di Londra, ha proposto un modello basato sui numeri di persone in terapia intensiva, quando questi aumentano, bisogna aumentare le misure restrittive, quando questi diminuiscono provare ad allenarle.

Nel breve termine, le attività che più subiranno conseguenze dalle restrizioni sono e saranno quelle che riuniscono un gran numero di persone: ristoranti, caffè, bar, discoteche, palestre, hotel, teatri, cinema, gallerie d’arte, centri commerciali, fiere, musei, centri sportivi, trasporti pubblici e scuole.

Queste strutture potrebbero in qualche modo adattarsi rendendo, laddove possibile, l’uso dei servizi direttamente da remoto, si assisterà così ad un incremento di servizi online, in quella che è stata già denominata: “economia chiusa”.

Anche alcune abitudini potrebbero cambiare, ad esempio si può prevedere il rafforzamento delle catene di approvvigionamento locale e maggiori attività condotte singolarmente. Tuttavia, continua il rapporto, uno stile di vita così impostato non può durare a lungo. L’ipotesi è quella che un miglioramento complessivo dei sistemi sanitari possa rapidamente identificare e contenere nuovi focolai prima che inizino a diffondersi rapidamente.

Nel breve termine, è prevedibile che verranno adottate misure che consentano di mantenere la distanza sociale, ad esempio un cinema vedrà solo la metà dei posti occupati, le riunioni saranno organizzate in sale più capienti, le strutture in generale richiederanno una prenotazione anticipata al fine di stimare l’utenza.

Per attuare queste misure, prosegue Gideon Lichfield, verranno implementati sistemi utili a tracciare gli spostamenti delle persone così da indentificare chi presenta sintomi da Coronavirus, attuando una discriminazione tra chi è a rischio e chi no. Misure di questo tipo sono già state utilizzate da alcuni paesi come Singapore che sta tracciando e divulgando i nomi e gli spostamenti delle persone a rischio contagio.

Nessuno è in grado oggi di prevedere esattamente come sarà il futuro, ma è plausibile immaginare che per prendere un volo sarà necessario essere registrati a un servizio che tiene traccia degli spostamenti tramite telefono, così da eventualmente avvisare nel caso in cui si entri in contatto con possibili focolai. Questi requisiti potrebbero sussistere per l’ingresso in ogni grande spazio dove è previsto un contatto con altre persone. Sistemi per la rilevazione della temperatura corporea potrebbero essere installati ovunque per le strade e nei posti di lavoro. Se un tempo i locali notturni per l’ingresso richiedevano una carta di identità, in futuro potrebbero anche richiedere una prova di immunità a dimostrazione del proprio stato di salute.

Questo tipo di sorveglianza sarà dunque il prezzo da pagare per avere la libertà di continuare a svolgere le attività sociali.
L’analisi del Mit Technology Review, si conclude spiegando che chi pagherà maggiormente il prezzo di queste misure saranno le persone più povere e deboli, che saranno escluse da luoghi e opportunità.

Quale sarà l’impatto sul business

McKinsey & Company è una multinazionale specializzata in consulenza strategica, ha sede a New York ed è stata fondata nel 1926 da James O. McKinseye e Marvin Bower. La società ha analizzato i possibili scenari economici che potrebbero realizzarsi dopo l’emergenza Coronavirus.

I possibili scenari analizzati sono tre:

Scenario A – Recupero rapido

In questo scenario, nonostante la rapida crescita dei contagi, altrettanto rapidamente i paesi riescono a controllarne il diffondersi. In Cina ad esempio si sta già assistendo ad un controllo dell’epidemia che a sua volta permette di abbassare i livelli di preoccupazione nella popolazione. Lo scenario prevede che le abitudini della popolazione cambieranno e comprenderanno aspetti quali il lavarsi spesso le mani e una sempre maggiore diffusioni delle modalità di lavoro agile o Smart Work. Questo scenario inoltre prevede che il virus abbia un’incidenza stagionale, il modello sviluppato in collaborazione con Oxford Economics, stima una crescita del PIL mondiale del 2% rispetto il 2.5% previsto. Le previsioni al ribasso sono dovute principalmente alla diminuzione del PIL cinese dal 6% al 4,6%.

Scenario B – Rallentamento globale

Questo scenario, presuppone che la maggior parte dei paesi al di fuori della Cina, non sarà in grado di gestire e mitigare l’emergenza in tempi rapidi. In Europa e negli Stati Uniti, il numero dei contagi è elevato, ma rimane gestibile grazie alle forti contromisure attuate, in Africa e India è prevista una certa diffusione in aree altamente popolate e localizzate.

Questa previsione porterebbe a cambiamenti radicali nel modo di comportarsi delle persone. Il PIL globale, potrebbe calare della metà e sarebbe compreso tra l’1 e 1.5%, tutta l’economia subirebbe un rallentamento senza entrare in recessione.

L’impatto si prevede più forte per le piccole e medie imprese, inoltre, una maggior sofferenza la subirebbero i paesi meno avanzati. Non tutti i settori saranno interessati, i più colpiti risulteranno i trasporti e il turismo. Molte compagnie aeree, soprattutto quelle che fanno del turismo la maggior fonte di ricavi, potrebbero fallire.

Il calo della domanda da parte dei consumatori per i beni di consumo porterebbe gravi ripercussioni per le aziende che già soffrivano di mancanza di liquidità prima del Covid-19. La domanda dovrebbe tornare a crescere nei mesi di maggio e giugno 2020.

Scenario C – Pandemia e recessione

Questo scenario porterebbe alla recessione globale, dovuta dal fatto che il virus non è stagionale. In questo caso la recessione sarebbe compresa tra 0,5 e 1,5 punti percentuali. La ripresa dei consumi non si concretizzerebbe prima del terzo trimestre.

Come il Coronavirus cambierà il mondo

Gli enormi cambiamenti nel nostro stile di vita portati dall’epidemia Covid-19, potrebbero aprire a un’economia più umana? È ciò che si chiede in un articolo per la BCC Simon Mair, economista ambientale, conosciuto per i suoi studi sull’economia utopica.

Mair sostiene che una volta superata l’emergenza, bisognerà pensare ad un modello di economia molto diverso se si vuole costruire un futuro socialmente giusto ed ecologicamente sostenibile.

Dal punto di vista economico, gli scenari previsti sono quattro:

Un mondo dominato dalle barbarie

È lo scenario più desolante, si realizzerà se gli Stati non interverranno a sostegno di coloro che rimarranno tagliati fuori dalle attività lavorative essenziali.

Un solido capitalismo di Stato

È la risposta che stiamo assistendo in tutto il mondo, riscontrabile ad esempio in Regno Unito, Spagna e Danimarca. Lo scambio di moneta continua a guidare le economie, tuttavia vengono riconosciuti aiuti da parte dei Paesi, attraverso politiche di sostengo e di credito.

Un socialismo di Stato radicale

Il socialismo di Stato consiste in un cambiamento culturale che coinvolge totalmente il mondo economico. È ciò che potrebbe verificarsi se le misure assistenziali messe in atto durante l’emergenza da parte degli Stati dovessero protrarsi nel tempo. Il punto è che misure di nazionalizzazione di ospedali e pagamenti erogati ai lavoratori non sono uno strumento di protezione per i mercati ma sono un modo per proteggere la vita stessa. In questo scenario, lo Stato interviene per garantire i beni essenziali come cibo, energia e denaro. I cittadini non fanno più affidamento al lavoro e quindi al reddito, come strumento per ottenere i beni di prima necessità.

Una società basata sull’aiuto reciproco.

In questo scenario, gli individuo si organizzano autonomamente per fornire assistenza e supporto all’interno delle loro comunità. Il rischio è che piccoli gruppi non siano in grado di gestire efficacemente settori quali ad esempio la sanità. Tuttavia, l’aiuto reciproco sarebbe una base su cui le comunità possano fare affidamento. La forma più evoluta di questo tipo di società consiste nel veder nascere nuove strutture democratiche.

Il Coronavirus, secondo Mair, così come i cambiamenti climatici, è solo una parte del problema che affligge la nostra struttura economica. Il Covid-19 è sì la causa, ma per gestire gli effetti è importante comprendere i comportamenti umani in un contesto economico più ampio.

L’esperienza di Wuhan in Cina, insegna come un distanziamento sociale sia efficace per contenere la diffusione del virus, tuttavia il blocco sta portando ad una grave recessione che ha spinto alcuni leader politici nel mondo a richiedere un allentamento di tali misure.

Il collasso dell’economia è dato dal fatto che le aziende non potendo produrre, non hanno bisogno di impiegati e forza lavoro. I lavoratori che ancora riescono a mantenere la propria posizione, si sentiranno in pericolo e tenderanno a spendere meno, perché temono di venir presto coinvolti anche loro, avviando un ciclo che porta alla depressione economica.

In un contesto di crisi normale, i governi immettono liquidità fin quando le attività non riprendono e le persone non ricominciano a spendere, ma in questo caso le cose sono differenti, non si vuole che l’economia riprenda, ma si vuole tenere le persone distanti tra loro per evitare il diffondersi del contagio.

Più che di un aumento della produzione, c’è bisogno di un ridimensionamento della produzione, continua l’autore, citando l’economista James Meadway.

La sfida è dunque quella di pensare ad un modello economico sostenibile, in grado sia di gestire la pandemia, sia di essere sostenibile dal punto di vista ambientale.

Come riuscire a mantenere il lavoro, ma ridurre contemporaneamente la quantità di beni prodotti in un’ottica sostenibile? Le proposte in questo senso riguardano la riduzione della settimana lavorativa, che consentirebbe alle persone di lavorare più lentamente e con meno pressione. In generale si tratta di ridurre la dipendenza delle persone dal salario per poter vivere.

Al fine di comprendere quali saranno le risposte al Covid-19, è necessario capire in primo luogo cosa serve all’economia. L’emergenza sta mettendo a nudo il fatto che tante persone svolgono lavori inutili e ciò ha portato ad essere impreparati nel rispondere alla pandemia.

Dall’altro lato invece esistono lavori essenziali, tuttavia mancano i lavoratori in questi settori, ad esempio quello sanitario. Si sta vedendo in questi giorni, come i governi stanno intraprendendo misure impensabili fino a qualche mese fa. In Spagna, gli ospedali privati sono stati nazionalizzati, nel Regno Unito la prospettiva di nazionalizzare compagnie private per il trasporto è un’ipotesi concreta e la Francia si è dichiarata pronta a nazionalizzare grandi imprese.

Paesi come Danimarca e Regno Unito stanno fornendo un reddito alle persone per evitare che queste si rechino a lavoro, il che conferma la direzione tracciata da Mair, secondo cui sempre a più persone in futuro verrà dato un reddito per poter vivere anche se non possono lavorare.

Il mondo dopo il Coronavirus secondo Yuval Noah Harari

In un articolo per il Financial Times, Yuval Noah Harari storico, saggista e professore universitario israeliano, scrive che abbiamo di fronte due scelte: la prima è tra la sorveglianza totalitaria e la responsabilizzazione dei singoli, la seconda è tra l’isolazionismo e la solidarietà globale.

Scrive Harari che in questi giorni, molti governi nel mondo stanno prendendo in poche ore decisioni che normalmente sarebbero state prese dopo anni di mediazioni e dibattiti, a partire dai processi di digitalizzazione del lavoro, della scuola e del commercio, fino ad arrivare al controllo sugli spostamenti.

In merito agli spostamenti, i governi potrebbero costringere tutti a indossare un braccialetto che comunichi in tempo reale le nostre funzioni vitali, se abbiamo la febbre, se il nostro cuore batte troppo velocemente o se la nostra pressione non è nella norma. Il problema di questo tipo di sorveglianza è che uno Stato avrebbe accesso ad una serie di informazioni che la popolazione non sarebbe disposta a consegnare a tempo illimitato. Chi garantisce ai cittadini che una volta infrante le regole del diritto comune si possa tornare indietro?

Secondo lo storico, è il presupposto dietro queste misure ad essere sbagliato, non si chiede infatti, al cittadino di scegliere tra salute e privacy, si possono avere entrambe le cose grazie alla responsabilità individuale, raggiungibile solo grazie ad un corretto processo informativo da parte dei media, della scienza e delle autorità.

Il punto è fornire ai cittadini gli strumenti per monitorare il proprio stato di salute senza che questo sia gestito dai governi, così che sia l’individuo stesso ad informare quando si verificano delle anomalie.

La seconda scelta che si ha di fronte, è tra l’isolazionismo e la solidarietà globale.

È necessario, sostiene Harari, che le informazioni vengano condivise, una scoperta di un medico di Milano ad esempio può essere divulgata e utilizzata da un medico a Teheran nell’arco di una giornata. La cooperazione tra gli Stati è un buon sistema anche per far ripartire le economie, i viaggi potrebbero riprendere, se tutti i viaggatori avessero un protocollo unico da seguire. La chiave di tutto, ancora una volta è la fiducia, conclude Harari.

Il sondaggio di “Politico” a 34 pensatori

Politico.com è un portale che si propone come una fonte di notizie politiche e informazioni affidabili.
In un articolo del 19 marzo , sono stati raccolti i pensieri di studiosi in campi e settori differenti, riguardo come sarà il mondo quando passerà l’emergenza Coronavirus. Se ne riportano alcuni che ragionevolmente riguarderanno anche l’Italia.

  • Secondo Deborah Tannen, professoressa di linguistica e scrittrice, la consapevolezza che ogni spazio chiuso può essere rischioso, non svanirà nell’arco di poco tempo, così come il continuare a lavarsi ossessivamente le mani. Tutto ciò porterà a prediligere le connessioni online, rispetto al contatto personale.
  • Secondo Mark Lawrence Schrad, professore associato di scienze politiche, verrà rivisto il concetto di patriottismo. Se fino ad oggi un patriota trova la sua collocazione negli scenari bellici, il Coronavirus ha fatto sì che i nuovi “eroi di guerra” siano diventati i medici e il personale sanitario. Schrad si augura che il concetto di patriottismo rimanga per sempre legato alla salute e al benessere della comunità, piuttosto che all’ambito militare.
  • Peter T. Coleman è professore di psicologia alla Columbia University si augura che la pandemia possa aiutare a cambiare il modo di pensare dei sistemi politici, indirizzandoli verso una maggiore solidarietà e funzionalità.
  • Tom Nichols professore presso il US Naval War College, prevede un cambiamento radicale su come è intesa oggi la società. Pone l’accento sul fatto che il Coronavirus abbia una volta per tutte dimostrato che le competenze contano.
  • Eric Klinenberg è professore di sociologia e direttore dell’Institute for Public Knowledge della New York University. Sostiene che il Coronavirus segna la fine della storia d’amore tra la società dei mercati e l’iper individualismo.
  • Amy Sullivan direttrice della strategia Vote Common Good, prevede un modo diverso di intendere il culto religioso in quanto, mai nella storia tutte le religioni hanno dovuto fare i conti con un fenomeno che ha fermato le celebrazioni previste.
  • Sherry Turkle è professore degli studi sociali di scienza e tecnologia presso il MIT. Si augura che la tecnologia possa diventare un mezzo per condividere la generosità e l’empatia umana.
  • Ezekiel J. Emanuel è presidente del dipartimento di etica medica e politica sanitaria dell’Università della Pennsylvania, rivela che le strutture di assistenza sanitaria tradizionale, verranno affiancate dalla telemedicina, un sistema cioè per visitare e guarire i pazienti direttamente da remoto.
  • Sonja Trauss direttrice esecutiva di YIMBY Law, sostiene che per almeno i prossimi 35 anni, ci sarà rispetto per le competenze in materia di salute pubblica ed epidemie, dopo anni di teorie che poco hanno avuto a che fare con la scienza e tanto con la politica.
  • Ethan Zuckerman professore associato di pratica nel campo delle arti e delle scienze dei media presso il MIT, dichiara che il Coronavirus costringerà molte istituzioni a dotarsi di strumenti per gestire le conferenze da remoto, a partire dal Congresso degli Stati Uniti.
  • Joe Brotherton presidente di Democracy Live, sostiene che scompariranno i sistemi di voto così come li conosciamo, in quanto implicano assembramenti tra le persone. Il voto elettronico diventerà presto uno strumento comune e largamente utilizzato.
  • Sonia Shah scrittrice di numerosi libri tra cui Pandemic: Tracking Contagions From Cholera to Ebola, sostiene che la società dovrà presto accettare le limitazioni al consumo di massa come il prezzo da pagare per difendersi da futuri contagi.
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