Intervista a Monica Montini – Chief Happiness Officer
Oggi siamo lieti di intervistare Monica Montini, Chief Happiness Officer.
Raccontaci di te, chi sei, cosa fai e come sei riuscita a raggiungere la tua posizione lavorativa attuale
Innanzitutto grazie per questa opportunità e per questo intervento che mi date la possibilità di fare perché è molto, molto interessante. Allora vi racconto un po’ di me.
Come abbiamo detto mi chiamo Monica e mi occupo di formazione e consulenza aziendale e Team Building in qualità di Chief Happiness Officer in italiano potrebbe essere tradotto un po’ come il Manager della Felicità. Allora vi racconto un po’ il mio percorso professionale come sono arrivata a questo ruolo. Professionalmente sono cresciuta nel settore alberghiero dove mi sono occupata per oltre 15 anni di Revenue Management, ricoprivo un ruolo che si dedicava all’ottimizzazione del fatturato degli alberghi.
In questo ruolo io ero veramente tanto, tanto ossessionata dai profitti, dai soldi e prestavo pochissima attenzione alle persone. Nella mia testa pensavo che il successo equivalesse ad un ruolo di prestigio, uno stipendio, elevato tantissimi benefici aziendali e un team da gestire e pensavo anche che una volta raggiunto questo tipo di successo, quello che io conoscevo come successo, sarei stata finalmente felice. I miei esempi di responsabili sono stati inizialmente dei manager, definiamoli un po’ della vecchia scuola e da loro ho imparato ad applicare un tipo di gestione molto gerarchica, molto autoritaria.
In passato infatti nei ruoli che ho ricoperto, sono stata quella che viene definita un po’ una bad manager, quindi non ascoltavo, non comunicato e contavo solo io, ero importante solo io.
Cos’è successo? Eh, questa è stata un po’ la realtà del mio passato che poi mi ha portato a ciò che faccio oggi. Quindi è importante capire un po’ l’evoluzione che c’è stata. Allora cosa è successo ad un certo punto della mia carriera una mia ex collaboratrice mi ha dato un bel calcio nel sedere, è venuta da me un giorno, ha dato le dimissioni e mi ha detto “Monica io ti ringrazio perché mi ha insegnato tantissimo a livello professionale, ma lato umano lavorare con te è veramente pessimo”.
Questa frase adesso che ne ho la consapevolezza conferma tantissimi studi che sono stati fatti e che dicono che le persone non lasciano le aziende, ma lasciano i loro capi. Quando questa persona è venuta quindi da me a dare le dimissioni a dirmi questa frase, ha risvegliato qualcosa dentro di me. Ci ho messo un po’ e diciamo che tutto è un po’ partito da lì. Che cosa è successo? Quindi è successo che ho capito che non volevo essere quel tipo di manager. Non volevo essere un manager autoritario.
Volevo essere una versione più inclusiva, più al servizio del mio team, più felice questa parola che ho rincorso per tantissimo tempo. E così che cosa ho fatto? Ho iniziato un percorso di crescita sia personale che professionale che mi ha portato a ricoprire il ruolo che ho attualmente. Di cosa mi occupo quindi nello specifico andiamo un po’ nel succo del discorso nella figura del Chief Happiness Office. Allora il CHO che è l’acronimo di questa figura è quello che viene definito un esperto di quelle che vengono chiamate le Organizzazioni Positive e guida le aziende in un cambiamento culturale che permette di mettere al centro le persone e di farle fiorire.
Cambia quindi l’approccio. Si parte dalle persone e non dai profitti ci si impegna quindi a sviluppare un clima di lavoro positivo che è attento alle necessità, ai talenti, ai bisogni delle persone e il risultato che si ottiene è quello che queste persone aumentano il loro impegno, la loro motivazione e la produttività. E questo porta a un conseguente incremento dei profitti, quindi si arriva al profitto in maniera diversa. La felicità delle persone in questo caso per un CHO diventa all’interno dell’azienda una strategia corporativa vera e propria.
Come lo fa?
Come affianca le aziende in questo cambiamento culturale? Un CHO si basa su quattro aree principali. La prima che viene analizzata è la cultura organizzativa, perché si parte da lì dalle credenze, dalle convinzioni che ognuno di noi ha e che mette all’interno dell’azienda per la quale lavora. Quindi che cosa fa il CHO insieme al management, analizza quelli che sono i modelli culturali dell’organizzazione le credenze, le convinzioni su cui si basa e sceglie quali è meglio incentivare e quali è meglio invece disincentivare. In coerenza con la scelta di lavorare per migliorare il clima aziendale, si va a definire oppure ridefinire se sono già presenti quattro dichiarazioni molto importanti per un’azienda che sono lo scopo, quindi perché l’azienda esiste, la vision, che è l’obiettivo che l’azienda si prefigge, la mission, che è la strategia che l’azienda mette in atto per raggiungere la vision e i valori aziendali che rappresentano la cultura vera e propria dell’azienda. Quindi si va a lavorare poi per implementare dei modelli di comportamento e di pratiche che siano in linea con queste dichiarazioni.
Allora, la seconda area invece è quella relativa alla felicità come vera e propria strategia corporativa. Quindi che cosa faccio analizzato come CHO? Analizzo, misuro e vado a monitorare quelli che sono i processi di gestione delle persone all’interno dell’azienda in modo da capire come si possano mettere in atto delle azioni, dei comportamenti e delle pratiche per generare una maggiore fiducia o maggior rispetto, un maggior coinvolgimento, la fidelizzazione, aumentare la motivazione e aumentare la felicità che è la strategia corporativa.
Passiamo alla terza area e questo è relativo alla leadership positive. Si dice che non possono esistere Organizzazioni Positive se al loro interno non ci sono dei leader positivi. Cosa significa questo? Che è importante che il management aziendale sposi consapevolmente questa nuova cultura dedicata alla felicità delle persone. Il CHO quindi che cosa fa? Affianca e supporta il management nel definire un piano di sviluppo per migliorare il proprio stile di leadership e sviluppare quindi una propria capacità di allenare la felicità e il benessere.
L’ultima area, che è la quarta, è relativa invece alle pratiche e processi positivi questa è l’area un po’ più operativa, in quanto il CHO affianca le aziende per selezionare delle pratiche, degli strumenti da mettere in campo quotidianamente per migliorare il benessere, la positività e la felicità dei collaboratori, ma non solo anche dei clienti, dei fornitori, degli investitori, degli stakeholder quindi di tutta la comunità che ruota intorno ad un’azienda.
Io in questo caso svolgo no un ruolo come consulente aziendale e quindi come figura esterna, ma il CHO può essere assolutamente anche una persona che lavora all’interno già direttamente in azienda. Solitamente è qualcuno dell’Ufficio Risorse Umane ma può essere in realtà chiunque all’interno della struttura organizzativa che decide di sposare questo nuovo modello culturale e di portarlo in azienda.
Come si diventa CHO, allora esiste in Italia una certificazione che è tenuta dall’Italian Institute for positive Organisation, che è un centro studi nato nel 2019 dall’esperienza di un’agenzia che si chiama 2bhappy Agency che è un’agenzia che si occupa nello specifico di ricerca e divulgazione sulle organizzazioni positive.
Personalmente oltre a questo percorso io ho poi aggiunto altre competenze come la PNL, la programmazione neuro linguistica, che mi aiuta ad avere degli strumenti per la comunicazione sia interna che esterna, la psicologia positiva che è un po’ alla base dello sviluppo delle organizzazioni positive e poi lo Yoga della Risata.
Quale consiglio daresti alle donne del futuro che voglio se vogliono seguire la tua stessa carriera?
La prima cosa che mi viene in mente è questa: iniziare un percorso di introspezione interna per capire che cosa ti rende felice e come raggiungere la felicità. La scienza, in particolare viene definita la scienza della felicità, ci ha dimostrato che la felicità non è solo un’emozione, ma è soprattutto una competenza e come tale può essere imparata, può essere allenata e sviluppata sia a livello personale che a livello aziendale.
Noi abbiamo molto il concetto per esempio dell’andare in palestra per sviluppare i nostri muscoli. Allo stesso modo con delle pratiche che si possono applicare quotidianamente si può allenare la nostra felicità.
Il secondo consiglio che darei è sicuramente quello di leggere, informarsi e formarsi tantissimo è una tematica questa della felicità in azienda e in generale della felicità nella nostra vita, che sta prendendo sempre più piede negli ultimi anni quindi esistono tantissimi libri, esistono tantissimi seminari, podcast e articoli. Quindi si può veramente trovare tantissime informazioni nel mondo Internet, nel mondo dei libri e della cultura.
Quindi è importante molto essere curiosi e non smettere mai di imparare. E comunque è solo imparando che si può evolvere e migliorare nella vita.
L’altro aspetto direi sicuramente fare delle esperienze aziendali perché questo permette di capire come funziona un’azienda al suo interno e quindi, sia nel caso si decida di avere questo ruolo internamente oppure da consulente, si è poi capaci nel momento in cui si capisce come funziona il mondo aziendale di supportare effettivamente un’organizzazione in quella che è l’evoluzione della cultura aziendale.
Per ultimo direi il percorso da Chief Happiness Officer, perché è quello che ti permette di acquisire le competenze necessarie per svolgere questo ruolo.
Cosa significa per te la Giornata internazionale delle donne?
Allora, voglio essere molto onesta e trasparente. Quando si parla di giornata internazionale delle donne la prima cosa che mi viene in mente il primo pensiero va alle mimose e ai festeggiamenti tra donne.
Mi viene in mente quando da poco più che adolescente andavo con le mie amiche a vedere gli spogliarelli maschili e quanto ci divertiamo, quindi lo collego molto a un momento un po’ frivolo di divertimento, di associazione tra donne. Diciamo che a quell’età io non avevo ancora grande consapevolezza di cosa significasse la Giornata Internazionale della Donna.
Per me era una festa e basta. Oggi diciamo che crescendo sono riuscita ad acquisire una maggiore conoscenza e riconosco l’importanza di questa giornata dedicata a celebrare e a ricordare quelle che sono tutte le conquiste sociali economiche e politiche che sono stati fatte fino ad oggi e quanto ancora c’è effettivamente da fare.
Io penso che un po’ come è importante cambiare la cultura aziendale per dedicarsi alla felicità, al benessere delle persone, penso che sia anche importante cambiare un po’ la cultura relativamente a questa giornata. Innanzitutto penso che la prima cosa sarebbe quella di non usare più la terminologia Festa della donna ma solo Giornata internazionale della donna perché, molto spesso Festa della donna come abbiamo un po’ confermato noi due viene associata alla mimosa, alle frivolezze e al divertimento.
La parola festa è un po’ diciamo non veramente consona a questa giornata
Secondo me è una giornata che dovrebbe prendere una maggiore importanza a livello di celebrazione della donna pensando a tutte quelle grandi donne che ci possono essere di esempio per crescere e migliorare la nostra autostima. Perché secondo me, è solo attraverso l’autostima che riusciremo a raggiungere i traguardi a cui questa giornata è effettivamente dedicata. Perché solo noi come esseri umani, possiamo veramente agire per trasformare degli obiettivi in realtà.
Io, per esempio in qualità di persona, sia personalmente che professionalmente ho sempre avuto come grande esempio, e magari molti non saranno concordi, la cantante Madonna che per me è sempre stata una persona a cui guardare come modello. Perché è questo? Perché l’ho ritenuta sempre una persona molto ambiziosa, capace, caparbia, tenace e l’ho sempre vista come una persona che è riuscita a raggiungere dei risultati molto importanti, che ha trasformato tanti suoi limiti in grandi potenzialità.
Pensate all’inizio non aveva nemmeno la voce per cantare ed era una cantante conosciuta a livello mondiale. Nonostante questo suo limite lei è una persona che, nel bene o nel male, ha infranto veramente tante regole e ha eliminato tante barriere mentali sulla figura della donna. Questo è per me il mio modello, ma ce ne sono sicuramente tante altre di donne da cui prendere ispirazione. Mi viene in mente non so Coco Chanel che ha rivoluzionato il mondo della moda o Amelia Earhart che è stata la prima aviatrice o una figura italiana, Rita Levi Montalcini che ha vinto il Nobel per la medicina, quindi sicuramente ci sono tanti tanti esempi da cui poter attingere.
Quale pensi sia la più grande sfida dell’essere donna oggi?
Allora, me ne vengono in mente due di sfide in realtà, non solo una. La prima che mi viene in mente è quella di sentirsi libera di essere qualunque cosa si decida di essere e la seconda invece è quella di smettere di giudicare le altre persone. Per quello che riguarda la prima sfida personalmente per me è stato un passo molto importante. Io come ho detto all’inizio ero un po ingabbiata, in un’idea di come avrei dovuto essere per avere successo, e questo nel tempo mi ha portato a stare male, a dedicare il tempo solo al lavoro e non a me stessa.
Sono cresciuta quindi con la convinzione che il successo corrispondesse ai soldi, al prestigio sociale, al ruolo manageriale. Ora dopo un percorso di anni e anni posso dire che non è così. Il successo è qualunque cosa tu scelga di fare che ti fa stare bene e che ti rende felice. Il vero successo è stare bene con se stessi. Quindi secondo me esistono ancora tante convinzioni che sono legate alla donna, al suo ruolo a cosa dovrebbe fare come dovrebbe farlo. Personalmente penso che ognuno di noi dovrebbe capire ed accettare che non siamo tutte uguali. Non abbiamo tutte le stesse priorità e gli stessi desideri. E siamo noi a scegliere chi vogliamo essere e come vogliamo essere.
Mentre la seconda sfida, secondo me è proprio legata, è una conseguenza di questa prima. Perché quando impariamo a far valere le nostre idee le nostre decisioni senza temere il giudizio degli altri allo stesso tempo impariamo anche a non giudicare più le altre persone.
Qual’è il tuo superpotere?
Questa mi piace tantissimo, è molto semplice, il sorriso. Il mio sorriso. Devo dire che è una caratteristica che ho sempre avuto, l’avevo a scuola, nelle mie prime esperienze professionali e me la porto ancora con me.
Mi ha aiutato negli ultimi anni scoprire lo Yoga della risata, che utilizza la risata come uno strumento per il benessere psicofisico. Quindi utilizza la risata come uno strumento vero e proprio, e devo dire che fortunatamente in tutti gli ambiti che ho operato ancora oggi mi viene riconosciuto di essere una persona molto solare ed energica che trasmette tanta energia, e penso che il sorriso e la risata siano appunto questi strumenti meravigliosi che ti aiutano tantissimo nelle relazioni personali ed aziendali, e quindi sicuramente il mio superpotere il mio sorriso.
Cosa ti piace riguardo la tua posizione lavorativa?
Allora, mi piacciono tante cose, quindi è un po’ difficile cercare di fare un riassunto.
Direi il poter aiutare le persone e le aziende a scoprire che la felicità sia personale che aziendale è una scelta e che questa scelta dipende totalmente da noi e da come decidiamo di scegliere di vivere la nostra vita, di interpretare e di reagire agli eventi che accadono, di focalizzarci sulle cose positive e non su quelle negative.
Quando sono in azienda mi affascina molto quando parlo con le persone e spiego come funzioniamo come esseri umani. Si apre un nuovo mondo, che offre delle prospettive completamente diverse di comunicazione, di ascolto e di interazione.
E poi direi che mi piace molto il percorso quando insieme alle persone di un’azienda, di un’organizzazione decidiamo quali sono i giusti passi da fare insieme con l’obiettivo di migliorare il clima aziendale.
Grazie mille grazie mille per la tua energia che ci hai trasmesso.
Grazie a te è stato veramente un piacere stare insieme e condividere questo momento dedicato alla Giornata Internazionale delle Donne. Grazie mille per aver scelto me per questa opportunità.
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