Il fenomeno del quiet quitting: cos’è e tutto quello che c’è da sapere
Il fenomeno del quiet quitting è solo l’ultima delle tante novità con la quale sta facendo i conti il mercato del lavoro successivamente al Covid-19. Il periodo post pandemico sta portando alla nascita di nuovi comportamenti e tendenze da parte dei lavoratori che stanno creando non poche difficoltà alle aziende.
Tutti questi cambiamenti partono dagli Stati Uniti e si diffondono rapidamente in Europa.
Ne sono un esempio, le dimissioni di massa, conosciute anche come Big Quit o Great Resignation, la nuova filosofia di vita YOLO (You Only Live Once) e il quiet quitting. Quest’ultimo possiamo tradurlo come “l’abbandono silenzioso”.
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Quiet quitting: cos’è
Diversamente dalle grandi dimissioni, il lavoratore che adotta l’atteggiamento quiet quitting non presenta alcuna lettera di dimissioni ma continua a lavorare in sede o in smart working per l’azienda.
Tuttavia, se fino a pochi mesi prima si è impegnato, si è concentrato su come ottenere una promozione e fare carriera, si è reso disponibile a lavorare anche fuori dall’orario di lavoro, con questa nuova filosofia, decide di limitarsi al minimo indispensabile. L’obiettivo? Favorire l’equilibrio tra la vita privata e la vita lavorativa, in inglese work life balance.
Il fenomeno del quiet quitting è partito successivamente a un breve video pubblicato sulla sempre più conosciuta e utilizzata piattaforma social Tik Tok. Il breve filmato e il relativo hashtag #QuietQuitting ha in poche ore raggiunto l’account di oltre 20 milioni di persone.
L’autore del video si chiama Zaid Khan, ha 24 anni ed è un ingegnere e un musicista. È a lui che si deve il diffondersi quiet quitting, dopo che ha fatto notare come non sia il lavoro a determinare il valore di un individuo.
Il video in pochi giorni è diventato virale e l’idea di lavorare il minimo indispensabile si è rapidamente diffusa, tanto che, oggi, sempre più organizzazioni stanno facendo i conti con dipendenti, soprattutto giovani, che continuano a lavorare, ma si limitano a svolgere i compiti e le mansioni assegnate senza cercare di distinguersi e di migliorare la posizione lavorativa.
Si potrebbe pensare che alla base il dipendente non sia più felice del lavoro svolto, che non sia più motivato o che sia alla ricerca di un nuovo lavoro.
Nella maggior parte dei casi però, il lavoratore non è né meno felice, né meno motivato, né è alla ricerca di migliori opportunità di lavoro. Semplicemente sta adottando una nuova filosofia, pensata per il proprio benessere, orientata cioè a limitare l’insorgere dello stress e il rischio burnout.
Perché si sta diffondendo il quiet quitting
La pandemia ha rappresentato per le persone un periodo importante di riflessione. Con le aziende e tutte le attività chiuse, lavoratori e no, hanno avuto tempo di pensare alle cose davvero importanti della propria vita.
In molti sono giunti alla conclusione che non conviene e non è benefico lavorare sotto stress, puntare a fare carriera, dedicare 30 o più anni della propria vita al solo lavoro.
Ciò che sta avvenendo è un radicale cambio culturale, messo in evidenza da numerose ricerche, come l’ultimo rapporto: “2022 Global Trends Talent”. Dal report si apprende che i dipendenti oggi attribuiscono un’importanza crescente ad aspetti quali:
- Work life balance
- Benefit
- Cultura aziendale
- Flessibilità lavorativa
Insomma, raggiungere una posizione aziendale di vertice, i bonus produzione, le ore di straordinario, diventano aspetti secondari. Ciò che cercano i lavoratori di oggi sono politiche aziendale pensate per il loro benessere, settimane da 4 giorni lavorativi, opportunità di lavoro in modalità smart work.
Inoltre, è bene sottolineare come il fenomeno del quiet quitting si sta diffondendo per mancanza di alternative. I lavoratori, infatti, complice anche una nuova crisi economica all’orizzonte e gli elevati tassi d’inflazione, non possono permettersi di lasciare il proprio lavoro e di rinunciare così allo stipendio e a tutti i vantaggi collegati:
- Tredicesima
- TFR
- Ferie retribuite
Fenomeno quiet quitting: moda passeggera o nuova normalità
È difficile stabilire con certezza se d’ora in avanti sempre più lavoratori si limiteranno a svolgere il minimo indispensabile o se torneranno a mettere il lavoro al primo posto. Solo il passare del tempo può stabilire la natura del fenomeno, se transitoria o definitiva.
Vero è che il quiet quitting è spinto anche da altri fenomeni che in un modo o nell’altro confermano come il mondo del lavoro stia cambiando. Ad esempio, come rilevato da una ricerca McKinsey e ripresa dal World Economic Forum, è in crescita la percentuale di lavoratori che decide di abbandonare un posto di lavoro come dipendente, scegliendo di mettersi in proprio.
Altre ricerche inoltre confermano una crescente attenzione da parte dei lavoratori appartenenti alla generazione Z (18-24 anni) verso le offerte di lavoro che garantiscono una maggiore flessibilità lavorativa. Per flessibilità lavorativa si intende la possibilità di lavorare alcuni giorni da casa, non essere vincolati a precisi orari d’entrata e di uscita dal lavoro, cambiare frequentemente mansioni.
Da non sottovalutare, infine, altri due aspetti. Il primo è che il fenomeno del quiet quitting trova terreno fertile per le sole posizioni lavorative dove l’offerta è elevata e le persone in grado di svolgere determinate mansioni sono poche. Il secondo riguarda i lavoratori.
Assumere questo atteggiamento può, non solo aumentare il rischio che l’azienda decida di assumere un altro lavoratore, ma anche il lavoratore stesso, non focalizzandosi sullo sviluppo costante delle proprie competenze, rischia di diventare poco appetibile per l’azienda.
In altri termini, il lavoratore con il quiet quitting riduce il proprio grado di employability e tale aspetto potrebbe compromettere la carriera.
Quiet quitting: come evitarlo
Così come i lavoratori sono tenuti ad adattarsi ai cambiamenti, sviluppando continuamente nuove competenze, anche le aziende sono chiamate a rispondere ai cambiamenti in atto.
Il fenomeno del quiet quitting, come abbiamo visto, si presenta solo se sussistono determinate condizioni. Realtà innovative, che già adottano politiche aziendali rivolte al benessere dei dipendenti e offrono l’opportunità di lavorare in maniera flessibile, di fatto non corrono il rischio che d’improvviso i propri dipendenti decidano di limitarsi al minimo indispensabile. Quali altre azioni stanno implementando le aziende per evitare il quiet quitting?
Individuare i lavoratori a rischio
I titolari d’azienda hanno oggi numerosi strumenti per valutare la qualità del lavoro svolto dai dipendenti. Individuare chi tra questi ha deciso di lavorare meno, è il primo passo da compiere al fine di evitare che il lavoratore mantenga un atteggiamento dannoso per l’organizzazione.
Mediare con i dipendenti
Coinvolgere i lavoratori, chiedere feedback, stabilire insieme quali azioni intraprendere per migliorare la vita lavorativa, può aiutare a creare un clima disteso in azienda. In linea generale, più un dipendente è soddisfatto del proprio lavoro e coinvolto nelle decisioni, meno sarà propenso a tirarsi indietro qualora siano richieste alcune ore di straordinario.
Offrire percorsi di carriera personalizzati
Creare un ambiente di lavoro stimolante, offrire un percorso di carriera in linea con le ambizioni del dipendente, sono due attenzioni che permettono di limitare il fenomeno del quiet quitting in azienda.
Migliorare la cultura aziendale
Infine, lavorare sull’inclusività e sulle pari opportunità, diffondere anche agli occhi esterni una cultura aziendale incentrata sulla valorizzazione dei talenti in azienda, sono tutte attenzioni che rendono un luogo di lavoro stimolante.
Come stabilito dalla nostra Costituzione, è un dovere per ogni cittadino svolgere un’attività in grado di contribuire al progresso della società in cui vive. Rendere l’ambiente di lavoro funzionale all’esercizio di questo diritto, è una giusta strada da intraprendere onde evitare di avere lavoratori demotivati o che si limitano allo svolgimento dello stretto necessario.
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